martedì 14 dicembre 2010

IL DIRITTO DI PROTESTA


Tutte quelle "belle facce" che vediamo nei salotti televisivi vivono di lauti stipendi presi da partiti, giornali, sindacati, se sono parlamentari non ne parliamo neppure. Pubblicano libri, hanno tutto lo spazio che vogliono, Berlusconi o no permettendo.

Perché questo è il sistema mediatico che funziona, censura, filtra, si muove con la logica dell'esercizio insindacabile del pensiero unico, al di là del fatto che ci sia un monopolista mediatico che controlla tutte le tv o quasi. In ogni caso, il dato di fatto è la concentrazione dei media nelle mani di circoli finanziari, gruppi di potere, le consorterie che fanno il bello e il cattivo tempo in Italia, tali e quali nella logica a Berlusconi.


Franceschini, sull'episodio della contestazione a Bonanni, alla presentazione del suo libro, da parte di precari e lavoratori, ha dichiarato di essere solidale con Bonanni senza se e senza ma. Un esponente del PD che fa questa affermazione, mi fa pensare alla regola elementare che un cane non mangia mai un altro cane. Ma soprattutto la dice lunga sul grado di coscienza civile di una classe politica che si dimentica come sono nati e si sono affermati quei diritti sociali e del lavoro.


E allora glielo ricordo io che cos'è una lotta per i diritti al signor Franceschini, che guarda tanto all'etichetta, come se ogni cittadino avesse pari diritti di espressione in questo sistema mediocratico, fatto di caste di "intoccabili", dove la critica può avvenire solo in quei troiai, in quelle tauromachie che eufemisticamente vengono definite salotti televisivi. Tra cani che si abbaiano contro senza mai mordersi.


In tempi di attacco alle conquiste sociali e del lavoro, è logico che gli anticorpi a qualsiasi atteggiamento che non rientri in questa norma, siano automatici.

Sono questi atteggiamenti di azione politica dal basso a fare paura, a essere anomali perché non controllabili. Fanno paura da sempre.

Esattamente come facevano paura alla borghesia dell'epoca le occupazioni di terre dei contadini del Sud, i cortei operai spontanei dentro e fuori le fabbriche e le mille forme di lotta che le classi popolari mettono da sempre in campo come esercizio essenziale della libertà di parola dei deboli e degli oppressi. E oggi come ieri, coloro che lottano sono coloro che vengono zittiti dagli azzeccagarbugli di turno, dagli opinion leader che sembrano avere la facoltà di parola per diritto divino. Oggi come ieri le forme di azione autorganizzata sono coperte da cumuli di menzogne e falsificazioni da giornali e tv perché "non devono disturbare i manovratori". Perché l'unica lotta ammessa da questa casta di politicanti e dai loro tirapiedi d'ogni risma è la lotta tra consorterie di regime, dove semmai le masse sono usate e mobilitate per altri fini e casini.

Queste espressioni di antagonismo nei luoghi di espressione del potere sono invece giuste e sacrosante. E lo diventano ancora di più proprio in assenza di un'opposizione politica e istituzionale che le esprima in altre sedi, divenendo un agire organico, come facevano i socialisti e i comunisti prima del fascismo e nel dopoguerra.

E questa è la grande differenza tra i movimenti dei lavoratori nel Novecento, con i partiti di massa, le forze democratiche di segno socialista, comunista e per un certo momento e in certi ambiti anche cattolico e il contesto odierno, dove abbiamo partiti autoreferenziali, con forti addentellati nei comitati d'affari, nei grumi corporativi di interessi alieni a qualsiasi visione di bene comune. La realtà è ben diversa dalle parole demagogiche dei vari Bersani. La realtà si esprime con la violenza e la censura di ogni fenomeno di lotta e dissenso di massa che non è gestibile dalle segreterie sindacali e di partito.

Lo spartiacque lo colloco negli anni '70. Lì furono fatte le scelte di concertazione nel nome di una strumentale pacificazione sociale, dalle forze politiche della sinistra storica. Questa è una questione da affrontare anche in ambiti sindacali che oggi sono oggettivamente antagonistici ai piani di governo e Confidustria, come la CGIL. E' una questione che va risolta per comprendere bene che cos'è l'autonomia politica dei lavoratori e delle realtà sociali in lotta.


Detto questo, il discrimine semmai che deve vivere in queste pratiche di protesta, in un contesto democratico, anche se di debole democrazia, oggi condizionata dai poteri forti, è il carattere civile della contestazione: aspra fin che si vuole, ma senza violenza.

Quindi, ci sta andare a rompere i coglioni nei salotti d'ogni tipo, dove pontificano i massimi rappresentanti non dei lavoratori in quanto tali, ma delle logiche di concertazione a cui il sindacato ci ha abituato e ci ha imposto come longa manu di ben altri interessi. Ci sta andare a rovesciare loro un po' di merda, a contestare, fischiare, urlare il dissenso. La protesta organizzata, caro Franceschini, è l'unico mass medium sano, in mezzo a tutta la vostra merda mediatica. La rottura dei vostri schemi, dei vostri accordi spesso sottobanco è una boccata d'ossigeno in un etere impestato dalle vostre dichiarazioni, tra un culo di velina e uno spot pubblicitario. Voi non avete l'ombrello nel culo come noi, ma avete sempre il microfono davanti alla bocca.


La protesta è un diritto e una premessa vitale per la democrazia. Perché fa crescere e amplifica le coscienze, perché crea discussione e organizzazione dal basso, perché marca la differenza con l'avversario di classe, l'alterità se non ancora l'alternativa. Perché rende attiva quella parte di società annichilita da una politica distante in tutti i sensi.


Quindi, caro Franceschini, SENZA SE te ne puoi andare a fan culo e SENZA MA proprio a fan culo.

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