venerdì 31 dicembre 2010

IL CASO BATTISTI


Ci risiamo: ora che Lula, come ultimo atto della sua presidenza confermerà oggi il parere dell'avvocatura dello stato e negherà l'estradizione di Cesare Battisti dal Brasile, in Italia torna a levarsi la canea forcaiola bipartisan, da Frattini a Di Pietro, passando per le anime belle del PD.
Non intendo soffermarmi sulle ragioni che intellettuali e attivisti democratici a livello internazionale sostengono a favore di Battisti. Basti solo documentarsi QUI, per comprendere l'abnormità dell'iter giudiziario contro lo scrittore, frutto di quella cultura dell'emergenza che ha segnato la repressione dei movimenti antagonistici degli anni '70.


Voglio invece rilevare come nel nostro paese si sia persa qualsiasi cultura della giustizia, sia a livello sociale che nelle aule di tribunale. Nel paese dove si reprimono le manifestazioni popolari con la violenza, come successo al movimento dei pastori sardi tre giorni fa, chi dovrebbe essere democratico e di sinistra tace e lascia correre, mentre il paese corre verso una forma sofisticata di autoritarismo populista. Che fa paura al resto d'Europa. Noi siamo un banco di prova. E questa forma di populismo mediatico, che nega ogni ragionamento che esca dal mainstream moralistico e dall'agenda di eventi dettata dalle segreterie dei partito di governo e d'opposizione, ha permeato tutto.
Tanto è vero che oggi non è neppure pensabile dire in Italia che Battisti non va estradato, pena: essere accusati di filo-terrorismo.

Nel paese dove un presidente del consiglio di "sinistra" trasformava il nostro paese in una rampa di lancio per bombardieri NATO, per bombardamenti sulla popolazione civile jugoslava, quelli che oggi sono gli stessi dirigenti politici nel PD, non trovano di meglio che ridare ancora una volta una chiave di lettura censoria degli anni '70, perché nel caso Battisti di questo si tratta.
La risposta di chi quegli anni nel bene e nel male li ha vissuti potrebbe essere: non accettiamo lezioni di democrazia e di nonviolenza da chi ha commesso azioni terroristiche ben più gravi sotto la copertura dell'alleanza atlantica.
La politica è politica, quindi non rompano il cazzo con giudici che hanno dato secoli di galera anche a gente che nulla c'entrava con le organizzazioni eversive armate di sinistra, togati che mai hanno parlato dei metodi usati nelle questure e nelle caserme di polizia e carabinieri per produrre i pentiti.

In Italia manca questo diritto. Il diritto di sostenere delle ragioni storiche e politiche, anche oggi che quegli anni sono un pallido passato. Negli altri paesi europei, nei paesi civili, dove non si formerebbe mai una canea bipartisan pro-Fiat detto per inciso, il diritto di ricostruire quel tragico periodo secondo il punto di vista di tutte le parti, sarebbe il collante di un vero superamento di quegli anni, proprio per non ripetere più le modalità di quel conflitto sociale nelle sue propaggini e pratiche più violente.
Invece: manganellate a chi oggi protesta, manganellate alle voci critiche, manganellate alla verità storica.

Questo ragionamento è logicamente più vasto e profondo della vicenda di Battisti, il cui processo è figlio di quell'emergenzialismo giudiziario e repressivo che non dovrebbe mai vivere in uno stato democratico. Anche perché alla fine, la questione Battisti è meramente tecnica. L'ingiustizia processuale che ha subito lo rende automaticamente profugo politico.
Per la giustizia e la politica brasiliana in larga parte, la quaestio è molto chiara. Tanto che per sostenerla, un presidente della repubblica non esita a entrare in crisi diplomatica con un altro paese.

Qui i nostri politici di lungo corso (troppo) del centro-sinistra non si pongono neppure il perché. Qui i difensori della Costituzione e gli antiberlusconiani per principio, alla Travaglio, non si prendono neppure la briga di andare a vedere come mai esiste un comitato internazionale a difesa di Battisti.
Siamo tutti italiettani, tutti impantanati nel nostro teatrino della politica, fuori dal quale non si va.
Ricostruire un'opposizione politico-sociale nel nostro paese passa anche attraverso il diffidare dei catoni che osannano a tutti i costi i magistrati "che fanno il loro dovere", rimuovendo le ragioni storiche e politiche di una cultura del conflitto di classe che non era sbagliata in toto, anzi.

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