martedì 28 dicembre 2010

RIFLESSIONI DI FINE ANNO.


Il mondo è attraversato da guerre e conflitti d'ogni tipo. Da un paio d'anni poi, una crisi economica globale ha acuito tensioni e ha portato alla miseria anche gran parte degli abitanti dei paesi occidentali avanzati e delle grandi metropoli europee.

Il 2011 si preannuncia privo di soluzioni. Le forze politiche e le istituzioni economiche, i contesti internazionali dove si decidono le sorti dell'economia mondiale, sono totalmente avulsi da qualsiasi logica che possa fermare la distruzione degli ecosistemi, riequilibrare le disparità economiche e sociali e passare a sistemi sociali e politici in grado di garantire benessere e democrazia ai cittadini di questo mondo.


In Italia in particolare, stiamo andando verso un'involuzione autoritaria delle istituzioni, il paese è preda dei poteri forti che, con cartelli e monopoli, hanno ridotto gli italiani da cittadini a sudditi. Il berlusconismo è la quintessenza di questa politica di spoliazione delle famiglie italiane e dei lavoratori dipendenti o autonomi.

La mano libera lasciata alla Fiat è l'ultimo dei segnali preoccupanti, in cui le forze del capitale industriale e finanziario che hanno goduto di incentivi e di politiche a loro vantaggio, oggi vanno ad attaccare le ultime sacche di lavoro garantito e di diritti sindacali.

L'Europa dei banchieri si avvia verso la frammentazione a più livelli, mentre in Italia l'assalto all'arma bianca delle risorse, dall'acqua privatizzata alla gestione di parti della cosa pubblica da parte delle mafie, non fa che aumentare le disparità.

Il debito pubblico, gli sprechi, le clientele stanno distruggendo i distretti industriali, le città, che diventano sempre più invivibili di fronte a una cementificazione forsennata. Non ultimo un federalismo che accrescerà la miseria al Sud, a favore delle signorie corporative e parastatali del Nord, rendendo ancora più iniqua la ridistribuzione di ricchezza sociale e l'erogazione dei servizi ai cittadini: quelli del Nord saranno di serie A e quelli del Sud di serie B.

La pressione fiscale verso chi paga le tasse, verso le piccole e medie imprese è diventata insostenibile. Ciò comporta la chiusura o lo spostamento all'estero da parte di interi cicli produttivi e quindi l'aumento della disoccupazione, la depauperizzazione di interi strati sociali, anche di classe media, il degrado del territorio, sia nelle città che nelle province.


La crisi strutturale e questi fattori ormai endemici per il nostro paese hanno accelerato questi processi. Il malcontento sociale determinato dalla mancanza di lavoro, ma anche da una politica di governo che va a tagliare i servizi sociali e settori importanti come la cultura e l'istruzione, non trova alcuna sponda politica: né in un PD ambiguo, che propone solo ricette neoliberiste meno invasive, che riconosce le ragioni degli speculatori e dei "riformatori" del mondo del lavoro mettendole sullo stesso piano di quelle dei lavoratori dipendenti, dei precari e dei disoccupati, né di una sinistra radicale dogmatica, incapace di proposte alternative forti, ma votata a un resistenzialismo testimoniale, incapace di individuare i soggetti del cambiamento nella loro globalità, ferma a una riedizione pacifista dell'assalto al Palazzo d'Inverno, ma per fare cosa non si sa.


Ecco questo è il bilancio che racconta di un vuoto politico disarmante, che storicamente solo i dittatori e i populisti riescono a colmare, parlandoci di eccezionalità e facendola diventare una norma, dove le cause della crisi non risiedono mai negli interessi che loro servono e nelle scelte politiche che fanno.


Il postulato che va compreso da tutti coloro che subiscono questa situazione (ed è la maggior parte della popolazione) è che senza democrazia economica, senza regole di cittadinanza sociale, giustizia fiscale, valorizzazione delle persone e delle comunità, senza democrazia nei massmedia, la democrazia costitutiva muore, possono solo prevalere logiche di corporazione e di campanile, possono solo emergere soluzioni autoritarie, ben sostenute da chi manovra il consenso con i media.

Ed è quello che sta accadendo.


La rinascita del nostro paese non passa dai luoghi della politica vecchia e nuova che sia, moderata o radicale, pragmatica o ideologica.

Inizia da una trasformazione delle strutture sociali, dal basso, da cittadini che si mettono insieme per creare nuovi legami di solidarietà e relazioni che mettono al primo posto il bene comune.

Qualche avvisaglia c'è: i cosiddetti gruppi d'acquisto che possono diventare veri e propri distretti di economia solidale, che creano un ciclo virtuoso nella produzione e nel consumo di prodotti e servizi. Un'autogestione da parte di nuove forme di comunità che inevitabilmente sottrarranno risorse e possibilità di profitto al grande capitale privato, che inevitabilmente sottrarranno entrate a uno stato che non restituisce in servizi e in protezione sui singoli della loro qualità della vita presente e futura, quello che ogni giorno ci sottrae per sprecare e per finanziare interessi ben diversi da quelli della collettività, quelli di autentiche bande criminali o corporative che si sono impadronite dello stato attraverso la politica.


Queste prime avvisaglie che ridisegnano una mappa diversa della gestione della cosa pubblica, delle risorse collettive, della produzione e del consumo, sono anche una possibilità di creare una nuova cultura solidale proprio attraverso la pratica. Oggi questo sommovimento non fa paura, ma nel momento in cui batterà non moneta, ma attività economica autonoma sì, gestione delle risorse, con rappresentanti dentro quegli spazi di democrazia formale come il Parlamento nazionale e quelli locali, saldandoli alla democrazia reale che proviene dall'autogestione dal basso, questo sì che creerà repressione. E allora sarà il momento della lotta e del boicottaggio totale dei meccanismi che fanno funzionare questo grande mostro, ormai lontano dai nostri diritti di cittadinanza.


Se avremo lavorato bene, i piedi d'argilla del molosso lo faranno crollare. Se le mille comunità locali sapranno collegarsi in un'unica grande rete, non conferiremo più potere ai poteri forti, che si reggono solo sulla mancanza di alternative concrete che solo noi cittadni possiamo costruire, che si alimentano della nostra disunità e paura.


Bene, questo in un certo senso è un manifesto che lancio, oggi come il messaggio in una bottiglia nel mare del caos mediatico e e relazionale. Ma costituisce materiale prezioso per costruire ragionamenti e azione.

La rabbia deve essere convogliata in azioni che costruiscono. Quel che di diverso si può pensare dalla visione rivoluzionaria del marxismo sulle rivoluzioni anticapitalistiche e comuniste: distruggere per costruire è proprio l'opposto, costruire per distruggere, ossia per trasformare la società a partire dalle sue stesse radici. Abbiamo una Costituzione moderna ed evoluta che ce lo consente (e non è un caso che venga attaccata dai piduisti e pitreisti vari). Manca la costituzione materiale, fatta dalla gente che inizia a muoversi con i suoi saperi antichi e nuovi.


Oggi siamo molto più vicini a una configurazione rivoluzionaria borghese, intesa come quella della borghesia precapitalistica e della servitù della gleba, della rivoluzione francese, dove l'universalità del processo rivoluzionario passava sul concetto di "citoyen", e su un programma molto semplice: libertè, egalitè e fraternitè, piuttosto che su dittature di classe, che lo sono abbiamo visto solo in apparenza, ma che in realtà impongono trasformazioni sociali dall'alto da parte di un partito che esprime una sintesi sempre arbitraria.


Nel marxismo stesso esistono gli anticorpi per non ripetere gli stessi errori del passato. Soprattutto nei suoi filoni libertari. Ma è un filone di pensiero che deve rinnovarsi radicalmente se vuole dare il suo contributo. Altrimenti è residualismo condensato in politiche di segreteria. E' anacronismo puro.

Se non ripensa la rivoluzione come un processo di trasformazione sociale e culturale dal basso, resterà nella migliore delle ipotesi solo una stampella, e neppure innovativa, di un processo rivoluzionario molto più ampio e universale che, ironicamente vedrà al centro del medesimo proprio quelle soggettività individuate centrali dal marxismo stesso.


Manca la pars costruens, compagni, manca proprio quella.






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