venerdì 17 dicembre 2010

ROMA BRUCIA? E LASCIALA BRUCIA'! APPUNTI SPARSI.



I.

Sui fatti di Roma, penso che soffermarsi sugli scontri e l'annosa questione dei "provocatori" e black bloc, metta in secondo piano, come vorrebbero PD e vari, quello che è un dato politico che esce dai nostri confini nazionali: in Europa cresce una protesta sociale molto forte, si può ricominciare a parlare di autonomia di classe, anche se come nel caso italiano non abbiamo ancora forme organizzate e riunificate su un progetto forte, e con una sinistra extra-parlamentare (nel senso che è fuori dal parlamento) che tenta di cavalcare la situazione un po' a raglio. Qui si va ad ordine sparso.


Un altro fatto certo è l'inadeguatezza delle cosiddette socialdemocrazie e laburismi di varia fatta di fronte alla crisi generale dell'occidente capitalistico. I vari Papandreu, Zapatero, ecc., si limitano a ricette economiche che rispettano i diktat dei veri poteri forti della Comunità Europea, la banche e il capitale finanziario.

Su questa situazione occorre puntare a un lavoro di ritessitura di un filo politico che unisce situazioni di lotta molto diverse tra loro, eterogenee. Al di là del moribondo governo Berlusconi e in prospettiva dei futuri governi, che saranno comunque di gestori di destra o di centro-sinistra delle manovre neoliberiste spacciate come "misure inevitabili".


Non ho certo "ricette", ma penso che un cambiamento epocale di una formazione economico-sociale globale che ci sta portando al collasso in tutti i sensi, passi proprio da queste lotte e da questi soggetti. Percorsi che devono trovare sponda anche in forme di autogoverno di processi sociali, di vita, di produzione materiale. Sono tanti i settori sociali che dobbiamo ancora coinvolgere. E non sarà un percorso privo di contraddizioni.



II.

Purtroppo in questo rapporto passivo di fruizione del mezzo televisivo, così come nella solita costruzione di figure leader, a livello di opinione o a livello politico, ecc., c'è la tendenza a prendere per buono AUTOMATICAMENTE tutto quello che viene sostenuto da questi personaggi.

Anche questo è indice di una diffusa mancanza di senso critico, di ragionamento autonomo riguardo le argomentazioni che vengono diffuse in modo massiccio dai media.

Questo meccanismo è pericoloso, poiché è come se a questi personaggi venisse data una delega in bianco sia sulle cose dette, che a quelle ancora da dire, a prescindere.

Invece, rivendicare un'autonomia politica, culturale dei soggetti è proprio affermare questo esercizio critico indipendente, orizzontale, che è il sale di ogni processo democratico e di ogni vera trasformazione sociale in cui protagoniste sono realmente le soggettività.

Rivendicare l'orizzontalità contro una fruizione passiva non significa essere contro in tutto. Meno male che Saviano ha denunciato alcune cose sulla camorra, che ci sono ancora programmi come quelli della Gabanelli o di Santoro. Ma occorre far capire nei contesti giusti che questi non sono santoni, nuovi lenin, o quant'altro.

Saluto con gioia fenomeni come il popolo viola, ma attenzione a nuovi luoghi comuni, alla creazione di nuovi feticci.




III.

Vorrei sottolineare il dato di fondo essenziale, su cui tutte le forze politiche, da "alleate" o da controparti devono fare i conti: esiste una protesta sociale su scala europea che nasce da una crisi del capitalismo che ha connotati epocali e che sconvolge la qualità della vita della maggioranza delle popolazioni.

La mobilitazione del 14, non solo romana, ma nazionale ha questo di positivo, che rende stabile anche in Italia un fronte d'opposizione sociale su cui occorre lavorare per costruire unità e progetto politico. Altro dato positivo è la coscienza diffusa di un legame con il resto delle proteste europee. Credo che l'esperienza greca e le lotte sindacali e studentesche francesi e inglesi, per citare i fenomeni più eclatanti, abbiano avuto un ruolo importante nello sviluppo dell'attuale esperienza italiana .

A questo fa da contraltare l'assoluta inadeguatezza della socialdemocrazia (ecco perché ho scritto alleati con le virgolette), che nei paesi in cui governa (Grecia e Spagna per esempio), le risposte che dà sono tutte interne agli interessi del capitale finanziario.

Quindi, lo scenario è da resa dei conti. Altri attori sociali si stanno affacciando sulla scena politica, con una forza d'impatto e una vastità che non si vedeva da decenni.

L'asse politico si sta spostando tra una centralità della politica interborghese, ossia tra frazioni dominanti, a una centralità politica verso la classe. Opsss, c'è un convitato di pietra!

La questione degli scontri violenti è solo una conseguenza di questo conflitto che va assumendo vaste proporzioni. Va visto il dato politico, la luna, non il dito.

La questione semmai è vedere cosa sta facendo la cd sinistra radicale: se rimette in moto logiche da cammellieri o se va a rapportarsi con questa AUTONOMIA DI CLASSE di fatto e autocostituentesi come pars costruens, "servendo il popolo". I conti saranno anche con i vari burocrati di periferia che non possono più raccontarla e suonarla come ai tempi della pantera.


A questo punto le strade possono essere tante. Perché tante sono le specificità. Negli anni '60 e '70 i diversi settori sociali, classe operaia, studenti, ecc., erano attraversati da forti appartenenze ideologiche. Così i movimenti che ne davano forma politica.

In questo caso non è che non esistano appartenenze e provenienze. Semplicemente non hanno più quell'influenza nella prassi politica, che avevano organizzazioni della sinistra extra-parlamentare come PO, LC, il MS, ecc. e la stessa sinistra storica. E poi successivamente l'Autonomia Operaia.

La cesura degli anni successivi la vediamo adesso, nella forte frammentazione politica dei soggetti, nella ricomposizione su aspetti progettuali che una volta definivamo "programma minino". Sul rivendicazionismo dal basso. C'è una ricerca di identità. E non c'è dubbio che i fenomeni di lotta e mobilitazione che rappresentano l'insieme delle pratiche di realtà molto diverse tra loro, vadano inquadrati in questa ricerca.

In Exit su La7, programma su cui non mi esprimo per decenza, l'altra sera ho però assistito a delle interviste fatte a giovani, studenti che mi hanno colpito.

Con argomenti semplici, privi di ragionamento politico complesso, dei soggetti che sembravano appena usciti dallo stadio (ahò, a chiudere il palazzo, se la sono annata a cercà) o da una proiezione di Sex and City, sostenevano con "stupefacente" logica le violenze di piazza.

C'è una parte della "politica ufficiale" che sta iniziando a ragionare su questi fenomeni, perché si sta accorgendo che nelle piazze italiane non si ritrovano solamente i "soliti centri sociali". Se così fosse, la lettura sarebbe di default, così come i meccanismi di repressione.

Dopo il gancio inatteso, il pugile si dice: attenzione, qui c'è qualcosa di nuovo. Tutte le veline di prammatica: infiltrati della polizia, black bloc, i servizi, casarini e i suoi, non funzionano più, saltano, diventano armi spuntate. E infatti vengono abbandonate, o passano in secondo piano.

Criminalizzare diventa difficile. Restano solo le frasi di rito, perché non possono essere non dette dagli esegeti dell'ordine costituito.

Con questo non voglio dire che non c'è repressione, anzi, lo si è visto e lo si vedrà.
C'è uno spiazzamento da parte di forze come il PD. La Russa ovviamente passerebbe su tutto e tutti con un cingolato.


Qui siamo in un crinale, in uno spartiacque. E poi? Bella domanda. Sono contento che non ci sia una risposta. Perché è un percorso tutto da costruire, i giochi sono aperti. A parlare sono i corpi e le menti, le

individualità alla ricerca di bisogni, di nuove forme di socialità. In questa società non c'è futuro? Bene, iniziamo a costruircelo. Il primo passo è l'antagonismo, l'irriducibilità data dalla materialità, dalla concretezza della mia esistenza, versus un dominio sordo e totalizzante che mi influenza tutta la

mia stessa vita. Il primo passo è la distruzione di qualcosa, qualcosa di immediato, ma molto chiaro, molto connotato che genera coscienza collettiva immediata. Possiamo anche spiegare ai giovani che arrivano prima in piazza e poi partecipano a una narrazione comune, che sono in sintonia con "il comunismo è il movimento che abolisce lo stato di cose presente". Ma è più importante che

lo pratichino. Una sana concessione a un'impoliticità istintiva, a una programmazione su questioni immediate e stringenti, ma impolitica lo è solo in apparenza. Perché in realtà è politica allo stato puro, nella sua accezione originaria, che Negri ben definisce come "biopolitica".

Con questo non voglio dire che il movimento è impolitico. Anzi, credo che una maturità politica così non si sia vista da decenni.
C'è un uso dell'ideologia molto intelligente, non schematico e dottrinario. Ecco perché molta parte della sinistra radicale fa fatica e mi pare che vada un po' a traino...
Il rapporto con sistemi di pensiero come quello marxiano è molto, molto dialettico. Grandi spunti di riflessione. La produzione culturale che sta uscendo dalle facoltà occupate è straordinaria.


Sull’incidenza della cd sinistra radicale nel conflitto sociale in atto, penso che l'armamentario teorico-politico, organizzativo e di pratica dei vari RC, PdCI, ecc. non sia dei migliori. Auspico una loro maturazione politica nello stare e agire nelle situazioni, considerandole come centrali e non viceversa, nel contribuire a trovare una sintesi politica, senza imporla fconcependo ancora una volta i movimenti come campo di battaglia di questioni interne e autoreferenziali.

L'autonomia politica della classe non è riducibile a una specifica forza politica. Se una forza ha agito bene divenendo "espressione" di settori sociali e movimenti, può assumere l'egemonia del conflitto in atto (vedi il bolscevismo, il PCI nella Resistenza...), ma non mi sembra il caso italiano ora. Ci vuole molta umiltà e onestà intellettuale.



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