domenica 12 dicembre 2010

VENDOLA E Il PARTITO DEL FUTURO


«La morale è che non dobbiamo discutere di se e come rifare il Pd, bensì di come e quando ricostruire il centrosinistra italiano. Il tema, ripeto, è il partito del futuro». (Nichi Vendola)

Oggi la parola "futuro" è molto inflazionata: Fare Futuro, Futuro e Libertà, il futuro del paese, dei giovani, di vattelapescachi.
Certo, guardare al futuro è importante, soprattutto a quello delle fasce popolari del lavoro e del precariato. Quindi di fresco conio, ecco il futuro partito prefigurato da Vendola.
Che sia auspicabile l'unità delle sinistre e che il centro-sinistra ritrovi un progetto unitario di trasformazione sociale del paese sono in tanti a volerlo.
Ma facciamo un riepilogo sul cammino fin qui compiuto da Vendola e dalla sua SEL.

Esce da Rifondazione e fonda un soggetto autonomo. E fin qui ci può stare. In effetti Rifondazione ha perso da tempo la sua forza propulsiva di novità nello scenario politico italiano, si è avvitata su se stessa, non è stata in grado di spostare equilibri politici nella coalizione del centro-sinistra e ha contribuito a portare in un cul de sac il governo Prodi. Inoltre, gli orizzonti politici che a leggerli sono nobili e sacrosanti, non sono seguiti da una politica di aggregazione e di presenza politica forte nella società. E' un partito di piazza e di palazzo, invaso da troppi interessi di "parrocchia".

Chi accusava Vendola di diventare la mosca cocchiera del PD, pare proprio che debba ricredersi. La sua politica è sì smodatamente referenziale verso la grande forza del centro-sinistra, ma lo è con molta intelligenza e forte del successo pugliese, poi rinnovato. Vendola sposta equilibri e lo fa da soggetto numericamente inferiore rispetto a quando era in Rifondazione e questa era forza più grande.

Il successo di Pisapia a Milano suggella la prassi aggressiva vendoliana verso l'elefante rosa, il quale vive un vero e proprio gap politico, che la manifestazione di ieri non ha certo mitigato.
Bene. A questo punto, nella strategia di Vendola emerge il grande sogno: mettere insieme tutto il centro-sinistra in un nuovo partito non meglio precisato per connotazione. Una visione miope che non tiene conto di due fattori.

Il primo. Il PD ha ormai compiuto una mutazione genetica. Insieme alla fusione delle diverse appartenenze, sinistra democristiana, ex-Ds, socialisti e altri cespugli del vecchio Ulivo (i contrasti di corrente ci sono, ma in una geografia morfologica ben diversa dal passato), i gruppi dirigenti hanno portato dentro il PD stesso anche una rete di interessi di cordata, clientele, relazioni con il mondo imprenditoriale e bancario, boiardi di enti pubblici e dei vari carrozzoni statali e semi-statali, lottizzatori RAI e nepotismi del mondo culturale e accademico, sanitario e chi più ne ha più ne metta.
Questa non è cosa da poco. Qui non si è di fronte al problemino di vincere un congresso fondativo tra forze politiche pure. Qui hai a che fare con cricche di vecchia politica collusa, che ti fanno il culo con ogni mezzo. Vendola illuso e idealista.

Il secondo. Ha poco senso arrivare a creare con interlocutori di questo tipo un nuovo partito di centro-sinistra (ma perché partito poi?), senza aver fatto i conti con la sinistra, quella vera, che Vendola rappresenta solo in parte, in minima parte. Vendola fa i conti senza l'oste.

Inoltre, la parola "centro" introduce elementi di ambiguità e inconfessate concessioni. C'è bisogno di un partito politico che su questioni come la presenza militare in Afghanistan, o le posizioni sulla questione CGIL-FIAT, non dà per scontato di default cosa dire e cosa fare?
Se Vendola
pensa a un partito dove aspetti così importanti come il pacifismo e una visione di classe del rapporto capitale e lavoro non sono nel dna costitutivo, l'unico termine che mi viene è "entrismo": il volo di una mosca cocchiera, intelligente e innovativa sul piano della comunicazione finché vuoi, ma sempre organica al pensiero debole che ha caratterizzato il nuovo corso post-comunista della sinistra storica da Occhetto in poi. Vendola plastilina che si plasma su tutti.

La questione vera è proprio questa. Quale partito Nichi? E con chi? Non è cosa da poco. In Italia lo si è visto. Si sono viste fallire politiche proprio a causa di pratiche incoerenti che non affrontavano seriamente gli aspetti di programma, le prospettive. Soprattutto, in genere, non c'erano prospettive comuni.
Essere contro Berlusconi non basta, quando hai il 70 per cento della classe politica (e sono ottimista), intrisa di concezioni affaristiche nella gestione della res publica, ben radicata in legami ambigui e interessati. Vendola fa la fine di Masaniello.

Sì, mandiamo a casa il caimano. Ma poi cosa fare? Con chi? Coalizzarsi anche col diavolo per battere questa destra reazionaria va bene, ma c'è modo e modo di farlo.
Quello che manca nel paese è una forza politica che affermi non tanto non meglio imprecisati interessi nazionali (qui si gioca sempre a fare i furbi e parlare di fischi nascondendo i fiaschi), ma ben più precise aspirazioni sociali che hanno connotati di classe.

Senza una visione di classe dello scontro politico e del conflitto sociale, senza un soggetto che restituisca ai lavoratori e ai soggetti sociali ascrivibili nella categoria di "proletariato", protagonismo politico e prospettiva progettuale, qualsiasi coalizione prefigurata dal leaderino di turno è destinata all'insuccesso. A meno che lo stesso Vendola non abbia cambiato prospettiva, ripercorrendo una Bolognina a ritroso, approdando a una concezione della politica populistica che spara nei salotti televisivi definizioni astratte come "gli italiani".

Per questo la fuga di Nichi verso una certa politica, non la vedo bene. Certo, anche pensare di ricostruire un soggetto meramente comunista per andare a un tavolo costituente con il PD è una cretinata bell'e buona.
Ma una forza di sinistra dove i comunisti hanno comunque un ruolo prezioso e insostituibile, ha senso se intesa come funzione di un ritrovato protagonismo dei soggetti e dei movimenti. Cosa che SEL non ha.
Da qui occorre ripartire. Ma Vendola, Ferrero, Rizzo, Diliberto stanno vedendo lo stesso film? No, è il male comune nelle varie forme di leaderismo congenito nella sinistra radicale e comunista. Correre separati e non fare lavoro di massa. Ognuno con le sue visioni.

Per questo sono pessimista. Vendola si romperà le corna e gli altri continueranno nella loro inifluenza in una lotta politica che non appartiene loro, dove i temi dominanti, le narrazioni (altra parola vendoliana a la page), l'agenda sono dettati dai gruppi di potere e dalle consorterie dominanti. Che riconoscono nel PD una parte in causa loro affine e l'unico interlocutore.

Quello che manca, caro Nichi, in questo paese dominato da nani e ballerine, da peones che si fanno eleggere per la megapensione, a destra come a sinistra, da gruppi interni ai partiti che piazzano parenti e serpenti in comune, provincia e regione, dove il neoliberismo lo fa anche il PD a Bologna, con Moruzzi e il suo CUP (tanto per non fare nomi e cognomi) è una sinistra anticapitalistica vera, che diventi forte e che poi vada a questionare da posizioni di forza conquistate sul campo: TAV, Mirafiori, Terzigno, Dal Molin, gru bresciana, con i menscevichi di turno. Questo è Gramsci. Non giganti mediatici dai piedi d'argilla, alla ricerca del popolo altrui.

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